Penso che per un’analisi dei segni della violenza attuale e delle sue radici, tutto dipenda dalla lunghezza d’onda storica che decidiamo di utilizzare sul problema. Se si considerano gli avvenimenti politici attuali come i più gravi tra quelli accaduti dalla Liberazione a oggi, come è stato detto spesso, possiamo dare un’interpretazione. Se ne avrà un’altra se si ritorna un po’ più indietro, fino al fascismo, in Italia e in Germania, e allo stalinismo per quel che concerne l’insieme del movimento comunista internazionale. Anche se sembra singolare, il terrorismo in Europa ha luogo, come per un caso strano, nei paesi che hanno conosciuto una dittatura fascista. In effetti Mussolini e Hitler, fanno proprio parte della storia d’Italia e della Germania, e, come diceva Rossana Rossanda in un famoso intervento, lo stesso avviene per certi militanti comunisti che hanno fatto la storia dei loro partiti. Facendo l’analisi del movimento comunista, ricevo l'impressione che le Brigate Rosse mi ricordano qualcosa che sta esplodendo adesso ma che è presente già da molto tempo nella storia del Partito Comunista. Si può poi ritornare ancora più indietro, e si avrà quindi un’altra interpretazione. C’è un punto che mi sembra molto interessante: domandarsi che cosa è stato il movimento terrorista e anarchico nella Russia prerivoluzionaria. Su questo la letteratura può aiutarci, perché c’è un autore che bisogna rileggere con grande urgenza, visto parla di tutto questo e le sue analisi non sono soltanto analisi politiche, mai troppo lungimiranti per ciò che concerne i fenomeni della violenza, dell’uccisione e dell’assassinio. Sono invece analisi di fondo quelle che fa Dostoevskij per la Russia. Ma si può andare ancora più lontani e domandarsi se, ad esempio, il terrorismo e il terrore istituzionalizzato non siano qualcosa che ci arriva dalla tradizione della Rivoluzione Francese. È quindi secondo la lunghezza d’onda temporale che si assumerà che le interpretazioni potranno essere più o meno orientate in un senso o nell’altro, con diverse interpretazioni susseguenti. La violenza è sempre l'equivalente di qualcosa che non si può esprimere e che resta strozzato in gola. Le interpretazioni prettamente politiche che affermano l’esistenza di una violenza di Stato di cui quella terrorista sarebbe solo una risposta non vanno troppo lontane nella valutazione del fenomeno. Ho parlato con amici italiani e ho chiesto loro se si era manifestato un solo intellettuale in grado di spiegare le ragioni (di stato, politiche, strategiche, tattiche, economiche), per le quali sia ammissibile sacrificare la vita di qualcuno. Mi pare che l’unico intervento sia stato quello, inquietante, di Leonardo Sciascia che ricordava come in Italia la pena di morte sia stata abolita e le Brigate Rosse ne stiano riproponendo l’applicazione. Dal punto di vista della repressione lo stato sembra criminalizzare gli intellettuali dissenzienti, ma più indicativa ancora mi pare la subordinazione degli intellettuali alla struttura e all’apparato del Pci. Questa è per me la questione essenziale del problema italiano. Sarebbe molto interessante vedere l’azione di intellettuali contro lo stato. Lo stato borghese, capitalista, classico. Ma perché questo avvenga occorre che gli intellettuali si liberino dalla dipendenza, parlando in prima persona e non avendo paura di dire quel che pensano e come vedono le cose. Leonardo Sciascia ad esempio è un intellettuale raro, uno che comincia a dire, “io” (prima persona), “io non so più che fare”, “credo che tutto ciò sia assai bizzarro”, “sento la mia dignità e la mia libertà seriamente minacciate”, “ho voglia di pensare da solo e dire da solo ciò che penso”. La cosa più allarmante in Italia in questo momento è la rarità di un intellettuale libero, quali che siano le sue opinioni, la mancanza di qualcuno che parli in prima persona, che dica “io”, “io penso che...”.  Questo è il pericolo vero, perché ciò che succede e succederà sempre più in Italia è che un gran numero di intellettuali farà sempre più attenzione a non dire cose in grado di contraddire gli apparati del Partito Comunista. E questa posizione di subordinazione andrà a scapito della capacità di analisi degli intellettuali, che sia profonda, personale o anche irrazionale. Ciò aiuta lo sviluppo di un potere forte, qualunque esso sia, vuoi capitalista-imperialista delle multinazionali, vuoi semplicemente totalitario e basato sugli apparati del Partito Comunista. Occorre battersi perché l'intellettuale non sia subordinato, come un bambino che deve essere guidato e aiutato, perchè esca da questa logica di interdizione della sua libertà, che non deve essere sottoposta a condizioni. L’intellettuale che non ha più questa libertà assoluta, è un suddito, un intellettuale organico. “Intellettuale organico” è una magnifica formula, ma credo che una riduzione dell’intellettuale all’“organo”, sia un’incarnazione assai bizzarra, che a me evoca immediatamente qualcosa di molto duro e penoso da cui voglio assolutamente tenermi lontano. Credo che ciò che si è visto a Bologna intorno al “movimento”  ponga una questione importante: c’è legame tra creatività, linguaggio, radio libere e movimento di massa? Questa è la questione che sta alla base di tutte le avanguardie, su cui si interrogano da sempre intellettuali di ogni paese, me compreso: l’illusione di fare una rivoluzione di massa operando una rivoluzione del linguaggio. Ebbene, alla luce anche delle mie esperienze devo riconoscere che questa è un’illusione, una falsa posizione impossibile da realizzare. Futuristi, formalisti, sono stati ricuperati dal potere, il “movimento” stesso dopo la primavera è appassito. Di fronte alla potenza del potere si ha paura, l’intellettuale rinuncia a parlare, si affanna, tenta, si rompe la testa e alla fine si dispera. È una guerra di nervi e io sono abbastanza pessimista sul suo esito.



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